Avanziamo di poco, soli pochi metri per volta. La colonna di auto in cui sono immerso prosegue lentissima. Dall'altra parte qualche veicolo va a velocità normale. Incomincio a pensare che lo spazio che guadagno poco alla volta è semplicemente quello liberato da chi ha rinunciato ad entrare in città. Questo stallo mi fa pensare alle scelte. Non amo le scelte perché sono la fine delle infinite possibilità, non amo ancor di più, quindi, quelle che gli altri fanno per te, soprattutto se tu la pensi in altro modo. E a me capita abbastanza spesso. Ma vediamo al dunque dei miei pensieri, alle decisioni prese per gli altri, all'operato cioè dei dirigenti. Di qualsiasi tipo siano, sono loro sono quelli che prendono le decisioni per gli altri. Il mio è, ovviamente, il direttore della scuola.
Non lo conosco ancora molto, nemmeno un anno che lavoro nella nuova scuola, molto assente lui per problemi di salute, molto assente io dai contatti con i colleghi per problemi di carattere. Ho tuttavia stima in lui, non sembra quel tipo di direttore che vuol dirigere per forza tutto. Questa mattina, però, è successo un fatto che mi ha portato a riflettere sulle scelte, appunto. Capita spesso oramai da queste parti, la natura ci mostra che nulla dura per sempre, ci fa vedere l'erosione in diretta, una frana blocca la strada che percorro per andare a scuola. Telefono per avvisare, do per scontato che la cosa migliore sarebbe stata tornarmene a casa, invece il direttore mi invita caldamente a recarmi a scuola adducendo motivazioni non troppo convincenti, per le mie orecchie almeno. Non mi oppongo, non posso. Non provo nemmeno a convincerlo del contrario, avrei chiaramente dato l'impressione del lazzarone. Credere, obbedire e lavorare, diceva un idraulico col quale ho lavorato tra le superiori e l'università, primo momento in cui mi sono accorto quanto è difficile fare scelte per la vita. Lui parafrasava il motivo in voga tanti tanti anni prima durante il fascismo (invece di lavorare c'era combattere per chi non lo sapesse).
Io ho dovuto obbedire, far finta di credere e.... guidare. Si perché per arrivare a scuola ho impiegato ancor più del tempo che avevo previsto. Oltre tre ore di viaggio, potrei essere preciso e dire tre ore e un quarto, ma che importano a questo punto i quindici minuti, sono solo cifre non significative in confronto, numeri dopo la virgola, che si possono benissimo trascurare. In quel tempo di viaggio sarei benissimo arrivato al mare e mi sarei fatto un bagno se la stagione fosse stata propizia. A scuola, ho espletato qualche urgenza, soprattutto di tipo fisiologico, e me ne sono tornato a casa. I miei allievi già erano alle loro di case.
Il direttore mi ha ricevuto dall'alto della finestra della segreteria, poi era sinceramente dispiaciuto per la prova a cui involontariamente mi aveva sottoposto. Io avrei voluto spiegargli alcune idee elaborate nel lungo tempo "libero" che avevo avuto quella mattina, sul dialogo tra chi decide e chi fa le cose, e di come le cose potrebbero funzionare meglio nel caso ci fosse, ma ho soprasseduto. In fin dei conti non si trattava di combattere come è accaduto a tanti altri poveracci, ma solamente guidare, battaglia quotidiana in cui nessuno muore, o quasi.
Riassunto della mattinata. Non ho lavorato un bel niente, ho bruciato qualche litro di gasolio, ma ho ho fatto una gran bella figura davanti al direttore e ai colleghi che (ce ne saranno) avrebbero giudicato male la mia assenza. D'altra parte viviamo nella società dell'apparenza e anche se tutti sono pronti a giurare di andare oltre, soprattutto tra i docenti, non so perché avverto sempre quella cappa di giudizio intorno...